LA CITTA’ DIPINTA
Giovanni Battista Bedolo è nato a Milano il 18 Febbraio 1962. Ventunenne
interrompe gli studi di filosofia e si trasferisce in Francia prima ad Agen
e poi a l¹Ile d¹Oleron, dove esegue le sue prime composizioni temporanee con
materiali portati dalle maree. Da allora cambia molto spesso residenza
seguendo un itinerario di vita deliberatamente nomade giungendo ad una
raffinata integrazione tra land art e pittura. Dal 1984 sviluppa studi sulla
morfologia delle piante che scaturiscono in cicli pittorici esposti in varie
mostre personali e collettive, realizza e cura numerosi giardini.
L’intervista
Intervistiamo Giovanni Battista Bedolo iniziando con una breve presentazione
del tuo lavoro.
Con un linguaggio contemporaneo propongo temi quali le piante e il giardino.
E’ come far emergere un fantasma collettivo: l’eden, uno stato primario, uno
stato armonico che non si dà più.
Parlami di esperienze particolari della tua infanzia, come hai conosciuto le
piante e i giardini?
Ho trascorso gli anni della mia infanzia ed anche i seguenti nei giardini.
Mio padre era il giardiniere di un parco storico, mantenuto come nel 1700.
Ho avuto un imprinting vegetale: nel giardinaggio si vive la solitudine
umana e, al tempo stesso, il rapporto con le piante, il che spinge ad avere
grande immaginazione.
Perché il giardino coltiva, oltre che le piante, I¹immaginazione?
Per via della relazione con tante forme diverse. Le piante, se le osservi
bene, si differenziano morfologicamente sia tra di loro, sia nel tempo
attraverso la metamorfosi, le molteplici forme stimolano la fantasia. Nel
giardino hai tempo per pensare ad altro ed i pensieri fluiscono in modo
armonico, ne scaturisce un pensiero più saggio.
Se tu dovessi dire, in seguito a questa tua esperienza, che linguaggio
parlano le piante, cosa diresti?
Le piante parlano il linguaggio proporzionale da cui traggo elementi utili
nella composizione pittorica. La forma nella pianta è l¹aspetto fondamentale
del suo linguaggio.
Come hai impostato la tua vita nella metropoli?
Dopo numerosi viaggi sono approdato nella città, cambiando spesso studio e
casa. Dall¹85 all¹88 rappresento animali, soprattutto gatti, composti con
sette pezzi di lamiera inchiodati su pannelli dipinti: sono frazionati,
dilaniati, privi di unità, dissociati in una situazione metropolitana.
Simboli del vivere contemporaneo, un "io diviso" e non ricomponibile,
postmoderno. Scelgo sette pezzi per contraddizione, perché sette è un
numero tradizionale della composizione armonica.
L’artista viene attraversato dal mondo?
La gente valuta ed apprezza una forma espressiva che mette in luce ciò che
vive, dà immagine a qualcosa che si sente nell¹aria, nel mondo. Anche se
fondamentalmente l¹artista cerca il nuovo, cerca quello che non c’è.
La crisi della pittura come forma espressiva non è una crisi legata al
genere pittura, ma all’immagine dipinta?
Determinata dalla difficoltà di mettere in campo delle immagini che tengano,
che piacciano, che siano emblematiche e rappresentative. Oggi non c¹è un
simbolo che vale per una cultura, quindi è possibile solo mettere in campo
una visione individuale. Nella restituzione del simbolo alla natura prendo
un archetipo di origine naturale come il calice, che non è più codificato, e
gli restituisco un senso ultimo riproducendolo dell¹ambiente vegetale, come
fiore. Illustrato pittoricamente lo rendo, ormai scevro da una serie di
sovrapposizioni culturali, al suo ambiente naturale dove continua e dove
(ingegneria genetica permettendo) può continuare a rimanere simbolo. Il mio
lavoro è restituire i simboli alla natura, quale realtà al di là delle
nostre volontà ed interpretazioni, portarli indietro perché nella civiltà
sono superflui.
Come operi?
Il mio lavoro parte da forme del regno vegetale che accattivano il mio
sguardo. Mi interesso poi alla relazione che c’è tra queste forme e la loro
funzione nella pianta, nel sistema vegetale, nel sistema bosco, procedendo
dal micro al macro. Dipingere una pianta, una palma o un cipresso, un seme,
un frutto di mangrovia, è un modo per portare dentro di sé panteisticamente
una parte della natura che non ci appartiene più, a cui non apparteniamo più.
Che relazione ha con il tuo operare artistico lo sciamanesimo?
Non ci sono più punti di vista comuni e generali nella cultura, il metodo
sciamanico del soggetto che si pone in relazione con il mondo rimane forse
il più appropriato. Casi ce ne sono tanti nell¹arte contemporanea, perché il
soggetto si trova solo e deve auto-iniziarsi all’arte, per cui ogni artista
ha un suo metodo, con le sue qualità e i suoi segreti.
Puoi illustrarmi l¹esperienza sciamanica che ha prodotto il ciclo pittorico
"la morfologia delle piante"?
Era una serie di lavori dove il giallo caldo del sole, che cadeva sul blu
delle acque fredde, generava delle aree verdi che progressivamente
definivano delle foglie: le fabbriche della fotosintesi, dando inizio al
mondo vegetale, del resto Goethe con la pianta originaria, l’Urpflanze,
individua che l’inizio dell¹evoluzione delle piante coincide con l’origine
della forma.
Vorrei che tu descrivessi come hai operato.
Ho lavorato in orizzontale, ponendo tutte le tele su un piano, ho stemperato
i colori, preparato l¹acqua negli annaffiatoi e raccolto delle foglie di
bambù durante la giornata. Con gli annaffiatoi ho bagnato le tele, disposto
i colori, collocato le foglie sulla tela, tutto questo muovendomi su una
superficie di circa cento metri quadrati. Ho lavorato contemporaneamente a
30 quadri considerando ognuno come una parte di un ecosistema, come una
parte di un bosco, di una pianta, come fosse una foglia di un albero.
Disposte le foglie sul colore fresco, il sole ha fatto la sua parte: ha
fissato la forma sul fondo di acqua fredda, sono intervenuto dove volevo che
le forme fossero più evidenti. Per quel che riguarda i grandi teloni
stempero il colore e lo dinamizzo, il telone viene messo in orizzontale su
superfici naturali: erba, sassi, fango, sabbia.
Cammino sopra queste tele molto ampie, mi servo per dipingere di elementi
che sono lì intorno: rami e fronde. Con l¹annaffiatoio verso l¹acqua. Mi
preparo precedentemente lavorando sulla forma, mediante studi, osservazioni,
disegni e pittura. Sulle dune in Kenia la sabbia è entrata nei lavori
mescolandosi ai colori.
Per ritornare ad un discorso precedente vorrei alcuni chiarimenti in merito
a l’Urpflanze ed alla sua relazione con la tua pittura?
Leggendo "la metamorfosi delle piante" di Goethe ho incontrato l’Urpflanze.
Goethe ha immaginato una pianta originaria, che rappresentasse la materia
organica vegetale, costituita nel modo più semplice e diretto, da cui per
differenziazione hanno luogo tantissime altre forme vegetali. Ho cercato di
dipingere la pianta originaria presentandone la frugalita, la situazione in
cui con il minimo sforzo la pianta raggiunge il massimo della sua essenza
concentrando in sé stessa il frutto, il seme, il fiore, la foglia e lo
stelo: l’elevazione. Avevo pensato a delle serigrafie: ho iniziato a
stamparle, ma ogni stampa è stata differenziata attraverso l¹intervento
pittorico, ciò perché dalla pianta originaria trae origine per
differenziazione il regno vegetale.
Come dipingi e dove?
Per circa 8 anni ho dipinto quasi esclusivamente in studio. Il nomadismo
contraddistingue l¹attuale modo di essere a cui non possiamo sottrarci
neanche volendo. Oggi dipingo nelle situazioni più disparate e naturali
possibili. Dall¹esposizione in plein air dei primi anni¹90 sono passato alle
performance, ho dipinto un grande quadro durante una notte in una discoteca
all’aperto, poi esposto sui muri di Milano. Con la valigia dei colori e il
mio telone sulla spalla ho dipinto anche in Kenia; sulle dune di Lamu,
sull¹isola di Manda Toto non avrei potuto lavorare con il laser o il
computer con la stessa immediatezza.
Ci sono soggetti ricorrenti e temi forti nella tua pittura?
Il bambù e la palma sono piante significative. Il bambù è una pianta
silicea, ha foglie allungate, una scansione dei nodi ed internodi che
ricorda sinfonie musicali, ci svela i segreti della composizione in natura a
cui ispirarci. La palma l’ho definita sole verde perché nasce dalla terra e
si eleva al cielo, il fusto è la strada che percorre questa sfera. Il
giardino è il tema fondamentale della mia pittura: il giardino con la palma,
il giardino bambouserie, l’isola giardino, il giardino dove germinano i
semi, il giardino come mondo o il mondo come giardino. L’uomo pensa il
giardino come qualcosa di evanescente, lo vive come giardino perduto, un
qualche cosa di non più realizzabile.
Perché proponi questi quadri che sono tutti giardini?
Perché sono input di un progetto di giardino, di un luogo. Nell’immaginario
diamo molta importanza al giardino esotico perché è il luogo dove riusciamo
a rilassarci, a staccare, a sentire il fantasma della contemplazione, il
surrogato della meditazione che proviamo solamente spostandoci di migliaia
di chilometri, raggiungendo un’isola. Nei nostri paesi il giardino non ci
può più dare questo genere di sensazione. I quattro quadri "Il sangue e la
linfa" sono le quattro stagioni che avvengono nel giardino, il rapporto tra
mondo vegetale e mondo animale nel giardino primordiale, i semi germinano
nel giardino, il calice è tratto dal motivo vegetale, il minotauro, l¹isola
felice, l¹annaffiatoio, le zucche.
Vorrei sapere se ci sono delle opere chiave nella tua produzione?
Il gatto nella metropoli è un tema chiave. Dai gatti sono passato agli
annaffiatoi, il primo annaffiatoio che ho dipinto:"l’oggetto che induce".
Ho iniziato valutando gli oggetti che mi circondavano e considerando la
quantità come una forma di inquinamento, fisico e mentale. Ho eliminato
quelli che non avevano un senso. Dal gatto saturato di oggetti sono passato
all’annaffiatoio come oggetto che induce, mi conduce nel giardino
chiaramente. L¹annaffiatoio sta a rappresentare la possibilità che il
giardino esista, è così importante nella mia pittura perché è lo strumento
del rito del giardinaggio. Dopo la morfologia delle piante e il bambù, sono
approdato alla rappresentazione del giardino di Alcinoo: il giardino sempre
fiorito. Ho pensato all’essenza del fiore, alla sensualità del fiore, organo
sessuale della pianta, alla rappresentazione più logotipo ed elementare
possibile, ho voluto rappresentare questa semplicità nel pensare il fiore.
In Africa ho studiato la palma nel suo luogo naturale cogliendo meglio il
senso di questa pianta e ho conosciuto il baobab nella sua struttura.
Vagando per isole mi sono reso conto di come i semi, viaggiano nell’acqua,
si spostano da un’isola all¹altra. Ho scoperto che anche la pianta ha un
aspetto nomade, non è così statica come l’abbiamo sempre pensata e
rappresentata. Il seme che vola, che galleggia è il messaggio della pianta,
sono le informazioni genetiche racchiuse lì dentro che possono viaggiare,
che possono visitare nuovi posti, nuovi mondi. Il nomadismo è il messaggio.
Perché parli di intelligenza delle piante?
Esiste un¹intelligenza nel giardino come relazioni tra le piante,
un’intelligenza ed un’armonia nella proporzione, nel modo di strutturarsi
della pianta. Ho identificato anche nel seme, nel fiore, nella radice, in
tutte le parti della pianta un¹intelligenza.
Se noi pensiamo l¹intelligenza come capacità riproduttiva, la capacità di
esistere, non possiamo negare l’abilità sorprendente dei vegetali. La
domanda che mi pongo e che determina il mio lavoro è: dove risiede e di che
qualità è il sentire della pianta.
Una delle ultime iniziative culturali artistiche che hai proposto è quella
dei grandi quadri esposti a Milano, vuoi dirmi di che cosa si tratta?
Circa due anni fa sono stato invitato in Kenia a realizzare delle opere di
grandi dimensioni su tela, queste opere sono state esposte in Italia dove
alcuni amici mi hanno chiesto di preparare grandi lavori da esporre sulle
facciate degli edifici in ristrutturazione. E’ nata così l¹iniziativa
denominata "la città dipinta", che vede la realizzazione di grandi quadri:
pezzi di circa ottanta metri quadri di pittura su tela. Aprire nuovi spazi
alle opere d’arte significa stimolare la ri-progettazione della città,
perché ogni qualvolta si interviene a livello di ristrutturazione si ha
anche la possibilità di trasformare in meglio.
Perché queste grandi dimensioni?
Un capo tribù di un’isola polinesiana descrive con meraviglia gli usi, i
costumi e le consuetudini dei civilizzati, quando parla della città dice che
gli uomini bianchi non escono mai di casa paragonando la città ad una grande
casa. In effetti ci muoviamo nella città come in una grande casa, come in
ogni nostra casa abbiamo le affiches e la televisione, anche nella città
abbiamo la pubblicità, i maxischermi, l’illuminazione. Questo è il senso
vero e proprio dell¹arredo urbano: pensare la città come un’enorme
abitazione, noi siamo tutti gli abitanti di questa casa. I grandi quadri
successivamente vengono frazionati, esposti nuovamente e portati all’interno
delle abitazioni, creando continuità tra l¹abitazione in piccolo e
l’abitazione in grande, parete nella casa e facciata nella metropoli.
Quindi tu sei personalmente un ponte tra la città e ambienti estremamente
naturali. Conseguentemente tu porti questi ambienti naturali nella città, i
tuoi lavori cosa propongono?
Le palme dell¹Africa, l’ansa di un fiume, un prato fiorito alpino e una
cresta di cipressi del lago di Garda, sono i luoghi dove il cittadino
approda, luoghi di ricarica, dove sfioriamo per un attimo la contemplazione,
dove andiamo a "staccare" con i ritmi metropolitani. Non è il luogo naturale
che io porto nella città, è la rappresentazione del logotipo che il
cittadino ha del posto naturale, se lo ritrova lì davanti, presentato in
chiave metropolitana, dipinto sulla facciata di fronte a casa. Questo ci fa
pensare di poter modificare in positivo l’ambiente in cui viviamo portando
un frammento, un’idea, una concezione della natura nella città per colmare
quella divisione che c’è tra l¹uomo e la natura, tra la città e l’ambiente
naturale, nell’ottica di una possibile riconciliazione della dicotomia che
caratterizza la storia umana da tanti secoli.